7 maggio 2010
DNA manageriale
Ho letto su Professionisti24 de Il Sole 24 Ore un articolo che parla del DNA della nuova classe dirigente.
Cito qui le tre caratteristiche che – secondo questo Rapporto 2010 Generare Classe Dirigente, promosso dall’Università LUISS Guido Carli, da Fondirigenti e frutto delle attività di ricerca dell’Associazione Management Club – dovrebbe avere la nuova classe dirigente, quella emergente dalla crisi:
Il primo tratto di questa classe dirigente è la sua forte preparazione a livello di basic manageriali unita ad una altrettanto marcata conoscenza del mercato.
Secondo tratto del DNA della nostra classe dirigente è la centralità delle persone e la costante attenzione alla valorizzazione del know how, cui si aggiunge l’attenzione per la dimensione etica.
Terzo elemento fondamentale è la propensione all’innovazione come elemento fondante della leadership manageriale.
Direi che sono tre caratteristiche fondamentali e che sono tutte presenti e vive nel lean thinking, pensiero snello.
Il lean thinking infatti si basa su rispetto delle persone, visione a lungo termine, soddisfazione dei clienti, innovazione, miglioramento continuo.
Il problema di questa ricerca e di queste conclusioni, però, è che si tratta di tante chiacchiere che non danno idee sulle soluzioni, sul come fare.
E’ facile parlare di etica in teoria, ma quando vai in una azienda ciò che succede è che si fa quello che dice il padrone e tutti zitti. Oppure, quando si parla della non discriminazione (che fa sempre parte di etica…) e poi agli stadi i giocatori di colore vengono fischiati e provocati in tutti i modi…
E’ facile parlare di basic manageriali, che si imparano nei vari corsi di management ma, quando si arriva in un’azienda, chi di questi neo-dirigenti riesce veramente a implementare ciò che ha imparato senza incontrare la resistenza di “chi lavora lì da 30 anni e ne sa di più di chiunque”?
E’ facile parlare della valorizzazione del know-how, ma quante sono le aziende che sono veramente in grado di dirti come gestiscono e raccolgono questo know-how e in cosa ESATTAMENTE consiste? Vi ricordo che il know-how non è solo il saper fare, ma è anche saper perché viene fatto in un determinato modo e non in un altro, saper impostare le ipotesi e verificare con dati in mano se queste ipotesi vengono rispettate o meno nel mondo reale. E poi tenere traccia di tutti i fallimenti, perché sono soprattutto i fallimenti quelli che costruiscono il know-how di una azienda, e non quello che viene fatto a occhi chiusi e senza guardare le alternative.
E’ facile parlare dell’innovazione e conoscenza dei mercati, ma vi chiedo: quante sono le aziende in Italia che veramente inventano qualcosa di nuovo, che investono nella ricerca e che usano i risultati di essa per creare prodotti e servizi con cui penetrare i mercati globali?
E’ facile parlare del rispetto dell’ambiente, quando solo pochi giorni fa abbiamo “ammirato” l’impresa della BP nel distruggere il Golfo di Messico (per dire che anche al di fuori dell’Italia non è proprio tutto rose e fiori)…
La soluzione è di cominciare a creare le imprese pensanti, che ragionano, che sperimentano, che falliscono, che imparano. Le imprese che applicano il lean thinking, ma non solo per ridurre i costi applicando ciecamente gli strumenti messi a disposizione (motivo per cui viene applicato questo modo di gestire nella maggioranza di aziende) ma soprattutto per far crescere la mentalità imprenditoriale e il rispetto delle persone attraverso la definizione della visione, dello stato ideale al quale si vuole arrivare in un futuro non necessariamente immediato.
Dando la libertà alle persone di sperimentare e sbagliare, tutti i giorni e tanto…
Se gestiamo le aziende in maniera tradizionale, non riusciremo mai a riscontrare le caratteristiche elencate in questo Rapporto. C’è bisogno del cambiamento. E anche presto…
Mi piacerebbe sentire le vostre osservazioni su questa mia riflessione, magari un pò provocatoria, ma che secondo me rispetta parecchio la realtà nelle imprese italiane…
Scritto il 9-5-2010 alle ore 09:43
Ciao Dragan. Al primo punto citato dal rapporto 2010 Generare Classe Dirigente, dove si punta l’attenzione sulla conoscenza del mercato per un buon manager, vorrei anche aggiungere che il buon manager deve avere anche un’ ottima conoscenza dell’azienda, del gemba. Nella conoscenza del manager coniugare il mercato con il gemba gli permette di avere quella visione/conoscenza senza la quale non puoi avere le basi per iniziare il cambiamento.Vorrei anche commentare la tua frase:” chi lavora lì da 30 anni e ne sa più di chiunque”. E’ vero , si trovano molte resistenze al cambiamento di chi ti dice, difronte una nuova idea di azienda ” .. abbiamo sempre fatto cosi!” ma è proprio da queste persone e dalla loro esperienza che si deve iniziare a vedere e sopratutto saper coinvolgerle utilizzando le loro conoscenze ( per conoscenze intendo errori) . Come? Imparando ad impiegare la leadership con umiltà e sopratutto con tanto gemba.
Scritto il 10-5-2010 alle ore 20:30
[…] DNA manageriale Il primo tratto di questa classe dirigente è la sua forte preparazione a livello di basic manageriali unita ad una altrettanto marcata conoscenza del mercato. […]
Scritto il 11-5-2010 alle ore 08:50
Ciao Giovanni e grazie per il commento! Infatti quello che sottolinei tu è quello che ho detto con altre parole nella frase successiva, quella della raccolta del know-how e dello sviluppo delle persone, che sono da portare sulla strada del pensiero che non serve niente a nessuno nascondere le loro conoscenze e competenze ma che queste possono essere utilizzate per il bene di tutta l’azienda e come tali vanno premiate
Scritto il 11-5-2010 alle ore 09:34
e…così…si ri-parla di creare…(Know-how).., uso il termine creare perchè il fare da sè è impostato sul raggiungimento dell’obiettivo usando una propria (personale nuova) modalità…si ri-parla di esperienza….dando per scontato che è sinonimo di maggiore conoscere ..in fondo stiamo parlando del DNA dell’uomo. Una buona preparazione, lo spirito di valorizzazione, la volontà di innovazione devono essere accompagnati dall’umiltà e non certo dall’obettivo personale di potere. Con queste basi il new dirigente saprà valorizzare ed utilizzare al meglio tutto ciò che è attorno a Lui perchè bene comune, saprà creare l’entusiasmo e concentrare le energie. L’umiltà gli permetterà di avere al suo fianco la migliore conoscenza perchè gli uomini migliori amano stare al servizio degli umili…e qui il DNA comincia a farsi raro
Scritto il 11-5-2010 alle ore 09:51
Grazie Cinzia per il commento!
Rarissimo direi…
Ma proprio per questo motivo bisogna farlo rinascere, l’umiltà è una delle caratteristiche fondamentali dei manager, ma anche una delle più sottovalutate. I paesi orientali, ma anche gli anglosassoni, generalmente ci insegnano di essere umili nel lavoro. Il problema risiede nella nostra cultura di diventare spacconi non appena guadagniamo 2 lire dopo aver copiato/adattato il brevetto di qualcun altro. E pensiamo di aver inventato il mondo…
Scritto il 12-5-2010 alle ore 12:26
Bisogna applicare il concetto di manager al tessuto delle imprese italiane formato da imprese molto piccole e con una impostazione di tipo familiare. Queste imprese purtoppo o per fortuna non sanno nemmeno cosa sia un manager. Suicuramente sanno di non aver bisogno di un intellettaule che si siede dietro una scrivana e produce carta, fax, email, ma una persona che si rimbocca le maniche e parte da 0 e comuncia a produrre qualcosa di concreto da poter l’aziedna. Ma l’umiltà dipartire da 0 e fare gavetta non la insegnano all’universita e qaundo parlo di gavetta non intendo partire da impiegato di concetto ma da lavoratore che si sporca le mani. d’altra parte il futuro è dei giovani manager sta a loro decidere cosa fare, nessuno gli dara la gloria gratis.
Scritto il 12-5-2010 alle ore 13:26
Bruno grazie per il commento!
Ciò che hai descritto tu è esattamente ciò che è un lean manager: colui che va nella produzione, lavora insieme agli operai, capisce dove e quali sono gli sprechi che incontra sul percorso e come andarli a ridurre o eliminare.
Stare dietro la scrivania o fare le scuole di business che “te la raccontano” la realtà, non ha alcun senso.
Io dopo l’Università sono stato in una azienda piccola e conosco molto bene la situazione e la sera (spesso dopo le 20) dovevo usare la pasta per le mani per lavarle, perché nonostante il fatto di essere un ingegnere, prima bisognava produrre poi gestire…
Ma anche questa esperienza mi ha permesso di capire gli sprechi e di capire il valore di una buona gestione nell’azienda e del lean thinking, perché solo osservando il processo e capendolo in dettaglio, capendo le cause dei disastri in persona, alla fine riesci a prendere le decisioni relativamente buone su come migliorare il processo complessivo e portare maggior profitto alla tua azienda.
Altro che speculare sulla testa e con i soldi degli altri, che ti insegnano nella gran parte delle scuole di management…
Scritto il 14-5-2010 alle ore 14:49
L’esperienza di vita e lavoro mi conferma che si vuole scoprire sempre l’acqua calda…chiamandola oggi con termini inglesi…domani forse con termini cinesi..indiani…giapponesi..ecc….
Il problema penso che è solo di essere consapevoli che siamo esseri viventi universali in cui i manager devono avere la modestia e la capacità di essere all’altezza dei compiti a cui è chiamata a esercitare le proprie responsabilità nei confronti del prossimo con l’onestà di dimettersi di fronte ad ostacoli viziati, anzicchè come avviene nella ns. società in cui prevale la prevaricazione :”ma quello chi lo controlla” e l’imposizione di leggi devastanti.