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Il Blog di Dragan Bosnjak

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Postilla » Impresa » Il Blog di Dragan Bosnjak » Management » Il tema del giorno: Malasanità

14 maggio 2010

Il tema del giorno: Malasanità

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In questi giorni stiamo assistendo a una escalation di proteste dei cittadini delle quattro regioni del Sud – Lazio, Calabria, Campagna e Molise – per l’aumento delle tasse che dovranno pagare in virtù dei conti in rosso della sanità pubblica.

E li capisco. Anch’io protesterei per l’aumento delle tasse a causa dell’inefficienza del sistema pubblico. Ma non voglio farlo. Perché? Perché vorrei discutere con voi della situazione che ha portato a questo fatto e delle possibili soluzioni.

Qual è il problema? I conti in rosso, mi risponderete voi. Ma io continuo a chiedervi: Perché i conti sono in rosso? Perché le amministrazioni non erano in grado o non avevano voglia di gestire il sistema e gli ospedali.
Perché non erano in grado o non avevano voglia? Non avevano voglia perché c’è tanta corruzione in giro, i medici che promuovono le loro strutture private dove possono guadagnare personalmente e offrire un servizio superlativo ai pazienti, a pagamento, spesso in nero. Negli ospedali pubblici semplicemente non sono motivati a farlo. Lì ci guadagnano la pensione del Pantalone… Questa è la prima faccia della medaglia, dove vengono tirate le colpe a destra e manca e non se ne viene fuori. Io non voglio parlare di colpe ma di possibili soluzioni… Voglio parlare qui dell’altra faccia della medaglia, quella più propositiva:

Perché non erano in grado? Qui comincerei con un discorso di management. Chi sono gli amministratori degli ospedali pubblici? Spesso sono o dei primari di medicina che con la loro bravura sono arrivati ad occupare quella posizione oppure si tratta di qualche politico messo lì per “volontà divina” dopo la scadenza del mandato da qualche altra parte. Cosa  accomuna queste due categorie, medici e politici? Nessuna delle due professioni impara, nel corso del proprio iter scolastico, i fondamenti della gestione dell’impresa. Sono bravissimi entrambi, non metto in dubbio la loro professionalità, nel saper curare il paziente il primo e nel… saper balbettare a vuoto… il secondo.

Ma nessuna di queste figure sa come organizzare il lavoro, ascoltare il cliente e trasformare le sue osservazioni in valore, attraverso le modifiche nel sistema complesso come può essere un ospedale.

Ad esempio, qual è la causa del ricovero di 6 settimane di un paziente (come ho sentito stamattina in radio) per eliminare i calcoli renali? E’ un’operazione che richiede poche ore e il giorno dopo la persona potrebbe essere a casa a godersi il riposo in famiglia. Invece no, 6 settimane! Chi paga? Cittadini, chiaramente, con le tasse aumentate…

Qual è la causa dell’attesa di parecchi mesi per fare una risonanza magnetica o una TAC in qualsiasi ospedale pubblico dove lo chiedete, mentre nelle strutture private vi viene fatta, dietro a congruo pagamento, il giorno stesso?

Nelle strutture pubbliche si pensa soprattutto ad acquistare le macchine più moderne, le tecnologie più avanzate che poi vengono sfruttate all’1% o meno delle loro potenzialità e capacità (bravissimi quelli che riescono a venderle, non c’è che dire). Ma non è la tecnologia che risolve tutti i problemi negli ospedali. Tecnologia è solo una piccola parte dell’equazione. La grande parte dell’equazione invece è la gestione del cliente, del servizio che gli viene offerto.

Chi è il cliente dell’ospedale? Il paziente, naturalmente. E come viene attualmente gestito il cliente negli ospedali pubblici? Come uno straccio, direi… Buttato da tutte le parti, aspetta mesi per avere qualche servizio elementare…

Allora, se la sanità vuole recuperare i conti e diminuire la pressione fiscale sui cittadini delle regioni sopra menzionate, c’è una sola strada da percorrere: studiare i percorsi che un paziente deve fare negli ospedali e migliorare continuamente i vari servizi ad esso offerti. Diminuire il tempo di permanenza (lead time – tempo tra l’ingresso del paziente in ospedale per un servizio e la sua uscita dopo che il servizio gli è stato completamente fornito) negli ospedali solo se strettamente necessario, senza attese in code infinite o in elenchi chilometrici.

Nell’industria, questo si chiama miglioramento continuo. Vengono studiati i flussi produttivi (percorsi) per ottenere un determinato prodotto e si riducono gli sprechi in modo tale che il prodotto giunga al cliente in maniera più efficace ed efficiente possibile, con il cliente finale completamente soddisfatto del servizio che gli viene offerto.

Tradotto in linguaggio ospedaliero, sarebbe: il paziente che arriva in ospedale deve essere passato da un reparto all’altro senza attese, in maniera organizzata, seguendo un percorso predefinito in funzione della propria situazione, e se ha bisogno di trattamenti specialistici o analisi aggiuntive, queste vengono effettuate nella stessa giornata, per non dover tornare altre 20 volte per eseguirli. Se ha bisogno delle operazioni, si organizza il tutto in pochi giorni, si seguono durante le operazioni degli iter stabiliti delle migliori pratiche (avete letto il libro di dott. Atul Gawande: The Checklist Manifesto?) raccolte nelle check list (non servono tecnologie sofisticate, un foglio di carta può salvare più vite di una macchina ipertecnologica…), e il tempo di degenza in ospedale viene ridotto al minimo indispensabile per recuperare dall’intervento subito.

In sostanza, bisogna gestire e organizzare gli ambienti ospedalieri in modo che il paziente (il cliente) sia completamente soddisfatto del servizio che gli viene offerto.

Se questo venisse fatto in tutti gli ospedali, vedreste che i conti tornerebbero in verde, e anche velocemente…

Vorrei darvi un esempio che questo che sto predicando è possibile, anche in Italia. Leggete questo articolo che ho pubblicato precedentemente, che parla di un ospedale a Firenze, gestita da una persona proveniente da industria e con formazione lean alle spalle.

In America sta iniziando la completa riforma del sistema sanitario. Noi, cosa stiamo aspettando a diventare più efficienti e occuparci meglio dei nostri pazienti?

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10 Commenti a “Il tema del giorno: Malasanità”

  1. Marzio Marigo scrive:
    Scritto il 16-5-2010 alle ore 08:38

    Le aziende ospedaliere, come ogni struttura organizzata di sufficiente complessità, sono governate dal “Principio di Peter”.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Laurence_Peter

    A parte il problema delle nomine politiche ai vertici dell’azienda (non entro nell’argomento. Molto ci sarebbe da dire, ma andrei di sicuro fuori tema), siamo proprio sicuri che un bravo chirurgo si trasformi poi in un bravo gestore di chirurghi?
    Non è detto, anzi.
    Le competenze per le quali si è definiti bravi in ambito tecnico non sono uguali a quelle necessarie in ambito organizzativo.
    Siamo proprio sicuri che Michael Jordan sarebbe un bravo allenatore di una squadra di basket? O che Cristiano Ronaldo, a termine carriera, lo sarebbe di una squadra di calcio?
    Negli ospedali il problema è il medesimo.

    A questo si aggiunga che gestire l’azienda “ospedale” non credo sia una passeggiata, per almeno tre motivi:
    1) i medici tendono sempre di più ad affidarsi, nella diagnosi, a misure strumentali ed a parametri ematochimici. Probabilmente anche per un problema di responsabilità civile nel caso di errata diagnosi. Questa marea di esami appesantisce, ovviamente, le liste di attesa;
    2) esistono esami sofisticati (PET, TAC particolari, ecc.) che per il paziente durano alcuni minuti. Ma l’analisi dei dati, fatta dal medico, può richiedere anche 45-60 minuti. Diventa quindi difficile mantenere il flusso in uscita con pochi medici specialisti destinati alla valutazione dei risultati.
    3) la popolazione invecchia e quindi i problemi sanitari si fanno via via più complessi da gestire. Tra 10 anni, in Italia, sarà peggiò. E tra 20 ancora di più. La piramide al cui vertice c’erano le persone anziane e la cui base è rappresentata dalla popolazione giovane, si sta via via invertendo (non solo in Italia, ma in tutto l’occidente).

    Soluzioni? Dragan Bosnjak ne ha suggerite alcune.
    Io, da completo profano, penso che in Italia esistano punte di eccellenza in ambito ospedaliero (parlo della gestione).
    Non sarebbe forse utile importare tali esperienze nelle aziende traballanti? Certo, c’è il problemino che un’organizzazione è composta, oltre che di procedure, anche da persone. E le persone resistono e si oppongono al cambiamento.

    Ma noi siamo fiduciosi, no?

  2. Dragan Bosnjak scrive:
    Scritto il 16-5-2010 alle ore 09:53

    Grazie Marzio per il commento!
    Hai ragione, ho parlato molto più del lato organizzativo e molto meno di quello umano.
    Il cambiamento nelle organizzazioni è dovuto ad una serie di fattori che devono verificarsi per cambiare la cultura delle persone che ci vivono.
    Tu avevi identificato uno di essi, ossia trovare dei punti di eccellenza e poi trasmetterli ad altre persone. Ma si tratta solo di un lato della medaglia. Di altre strategie possibili per cambiare avevo parlato in un articolo sul mio blog personale “Psicologia del cambiamento” (http://www.encob.net/blog/2010/04/15/psicologia-del-cambiamento/) e penso che il cambiamento nei nostri ospedali ne richiede più di una di queste strategie…
    Commenti?

  3. annalisa scrive:
    Scritto il 18-5-2010 alle ore 11:33

    possiamo prossimamente riprendere in mano questo argomento della psicologia del cambiamento? mi servirebbe da applicare in azienda, a partire dalla direzione, fino al magazzino.
    Siamo al livello di reintrodurre i richiami al personale…..
    Grazie.

  4. Dragan Bosnjak scrive:
    Scritto il 18-5-2010 alle ore 11:41

    Certo! Cosa è che ti interesserebbe in particolare del cambiamento? Discutiamone, anche in privato se vuoi…
    Trovi il mio indirizzo email privato nel mio blog (segui il link per psicologia di cambiamento) in alto a destra nella barra laterale (simbolo di gmail)

  5. Gloria Malaspina scrive:
    Scritto il 19-5-2010 alle ore 10:40

    Ho scoperto casualmente il blog e, come capita spesso, quando c’è poco tempo da dedicare. Alcuni brevi spunti, per ora. Sono d’accordo con l’analisi delle inefficienze e le proposte per superarle. Aggiungo: 1.i Drg – in base ai quali vengono rimborsate le prestazioni sanitarie ospedaliere – sono uno dei motivi per cui quando si vuole fare cassa si allungano le degenze e – a volte – si indicano prestazioni più onerose di quelle effettivamente prestate: quando lo cambiamo, questo sistema? 2.il sottoutilizzo di impianti e macchinari ha come effetto che per ammortizzarne i costi si tende a mantenerli in esercizio anche quando potrebbero essere sostituiti da altri, più avanzati e tecnologicamente più efficaci ed efficienti. Ma: per utilizzare a pieno impianti e macchine servirebbe un’organizzazione del lavoro che prevedesse un nastro orario per l’intera giornata, mentre molti ospedali utilizzano solo la mattina. Effetti: sottoutilizzo, appunto, con minore remuneratività di ammortamento e liste di attesa lunghe, per interni ed esterni. 3. il tempo pieno dei medici: ne vogliamo parlare? Quando Rosy Bindi lo inserì a determinate condizioni nella legge di riforma sanitaria (229/2000) fu rimossa dall’incarico nell’allora rimpasto governativo e il tempo pieno non fu mai applicato. La riforma prevedeva anche tempi massimi per le liste di attesa oltre i quali a.penalizzare le strutture che non erano adempienti; b.autorizzazione all’intramoenia (attività privata nella struttura pubblica)come possibilità di scelta del cittadino che volesse affidarsi ad un medico di sua fiducia in quella struttura: libera scelta, legittima. Ora, l’intramoenia è quasi solo un percorso obbligato per superare le liste di attesa e non più una libera scelta!…Ne avrei altri, di riferimenti da fare. Anche quelli relativi all’eccessivo ricorso agli screening, che spesso servono solo a mettere al riparo i medici da eventuali diagnosi poco accurate e che fanno il paio con allarmismi di varia natura, cioè con una cultura sanitaria che non ha nulla a che vedere con la prevenzione, quanto piuttosto con l’insicurezza sanitaria indotta nella cittadinanza. Ovviamente, di questo non sono responsabili i cittadini, che o sono in una condizione di fragilità in caso di disturbi e patologie e si affidano ai professionisti, per una comprensibile “asimmetria informativa” sulle ragioni della propria condizione e gli eventuali rimedi, o sono “vittime” di un tartasso fai-da-te da parte della pubblicizzazione di screening miracolosi o di farmaci. Insomma, la questione dell’organizzazione, del rigore, del significato della sanità pubblica e del ruolo di sostegno ad essa di quella privata (e non il contrario) sono l’ultima ruota del carro nella cultura sanitaria corrente. Nonostante ciò, penso che dovremmo tenerci stretta la possibilità di avere un servizio sanitario nazionale. Le tasse servono anche a questo e pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca è un miraggio non consentito dalla ragione. Buon lavoro! e complimenti…

  6. Dragan Bosnjak scrive:
    Scritto il 19-5-2010 alle ore 13:14

    Grazie per la testimonianza e per la precisione!
    Infatti, il mio pensiero è che al cittadino deve essere offerto un servizio di qualità, con poche attese, senza sprechi di risorse né in negativo (es. che ti lasciano in degenza per mesi) né in positivo (es. che ti lasciano in degenza meno di quanto serve per recuperare veramente).
    Poi ci vorrebbero le procedure uniformi tra le varie strutture pubbliche, le migliori pratiche che vengono diffuse e applicate, sia che si tratti di un ospedale che si trova a Palermo o a Trento. Perché siamo noi, i comuni cittadini, che alla fine dobbiamo pagare le tasse alla PA e quindi vogliamo il ritorno al nostro investimento che possiamo vedere e carpire quando andiamo in ospedali pubblici. Ne abbiamo il diritto…

  7. Gloria Malaspina scrive:
    Scritto il 20-5-2010 alle ore 10:42

    Certo, Dragan. Giustissimo. Tieni presente che già ora la cosiddetta “migrazione sanitaria”, prevalentemente dal Sud verso strutture pubbliche o convenzionate con il Ssn del Centro e del Nord e anche dal Centro verso il Nord, determinano uno spostamento di risorse (perché il Sud “paga” per i propri assistiti le quote alle Regioni dove si realizzano le prestazioni)che, per le Regioni di provenienza, risultano essere solo un esborso, nel senso che non c’è alcun ritorno in indicatori di efficacia, né – nel tempo – di monitoraggio degli esiti per patologie ed interventi, utili comunque a misurare e calibrare il sistema (Drg compresi) e a definire in termini più congrui le piante organiche necessarie e le dinamiche organizzative. In parole povere: quelle Regioni rimarranno sempre in una dimensione di carenza rispetto alle prestazioni per la propria popolazione e alle professionalità da acquisire, perché gli esborsi senza monitoraggio non consentono di ottimizzare – ampliando o restringendo – il sistema. Comunque, per la cittadinanza le strutture resteranno carenti. Il federalismo, in questo senso, non aiuterà le Regioni del Sud a migliorare, perché il sistema sanitario – regionale nella gestione, ma giustamente nazionale nel diritto alla copertura – continuerà a vedere spostamenti significativi di migrazione sanitaria, con un’aggravante: la proporzionale sottrazione delle risorse statali al Sud, “punitiva” in funzione e misura di una verifica “storica” di efficienza ed efficacia inadeguate (meccanismo che è già in essere da alcuni anni) sarà una maggiore difficoltà per autorizzare la migrazione (il Sud tenderà a non perdere le proprie scarse risorse), sarà più difficile investire per la qualità e si realizzeranno “accordi” fra le Regioni del Sud e quelle del Nord, determinando di fatto Regioni “signore” e Regioni “vassalle” in termini non solo di fatto, ma anche codificate. Senza contare che la migrazione, a questo punto, sarà anche dei sanitari e non solo dei pazienti.
    A presto!

  8. Alessandro Milo scrive:
    Scritto il 18-10-2010 alle ore 13:19

    Buongiorno a tutti, sono il presidente di un’Associazione che tutela, gratuitamente, i pazienti vittime della malasanità. L’associazione si chiama O.DI:S.SE.A. “onlus per il diritto alla salute al servizio dell’ammalato” e lo staff della stessa è composto da medici, psicologi, volontari ed avvocati che tuetelano le vittime della malsanità in maniera totalmente gratuita. CHIAMATEMI e vi aiuteremo a risolvere i vostri problemi . Alessandro Milo 333/8691671

  9. Gloria Malaspina scrive:
    Scritto il 19-10-2010 alle ore 11:24

    Carissimo Dragan, mi rifaccio viva, dopo la sollecitazione di Alessandro Milo. Iniziativa lodevole, la sua. A monte, tuttavia, credo che ci sarebbe molto da fare. Soprattutto, restituire ai cittadini la consapevolezza costituzionale di un loro diritto e aiutarli a superare la cosiddetta “asimmetria informativa”, per la quale finiscono per la maggior parte ad affidarsi senza possibilità di interlocuzione a soggetti e strutture sanitarie. Bisognerebbe anche ri-abituarli a comprendere come un servizio sanitario nazionale sia un bene comune, da difendere con la rivendicazione di una tassazione equa (chi più ha, più da) relativamente alla contribuzione utile al mantenimento di un servizio pubblico, che attualmente pagano per lo più i”soliti noti”, cioè i cittadini che non sfuggono al prelievo fiscale. Parallelamente, tutto il lavoro di pubblicizzazione di ciò che non funziona e delle sue cause, degli abusi e delle loro cause, della corruzione e delle sue cause e – da ultimo, ma non utimo – delle incongruenze del sistema organizzativo. Per esso, le ricette possono essere diverse. Personalmente, pure essendo convinta che i sistemi complessi vanno governati con cognizione di causa e non improvvisandosi “direttori”, spesso più sostenuti da amicizie che da concorsi di merito, diffido di quella “managerialità” che punta solo alla produttività, perché la persona – e in particolare la persona con problemi di salute – risponde soggettivamente dal punto di vista fisiologico alle terapie ed è difficile – se non in forma “mediata” – stabilire uno standard per il quale sia garantito l’equilibrio economico “costi/benefici” di un intervento medico, clinico o chirurgico che sia, e contemporaneamente il buon esito di quell’intervento. Questo non significa che in ogni caso non sia necessario attestarsi su dei parametri, ma solo che la standardizzazione manageriale deve tenere conto del fattore umano. Che comprende anche l’errore sanitario (quello non determinato da imperizia, o pigrizia, o pressapochismo, che deve essere pesantemente punito) derivante da una valutazione inappropriata dei tempi rispetto ad una necessità di intervento, per esempio: è grave e chi lo compie ne è responsabile, qualsiasi siano le conseguenze, ma potrebbe anche derivare da una sintomatologia che trae in inganno, perché la soggettività fisiologica e la soggettività terapeutica sono due variabili, appunto. Ma, detto questo, occorrerebbe davvero mettere mano al sistema in modo significativo e non punitivo per le popolazioni. I risparmi che derivano da una riorganizzazione funzionale sono una cosa, perché tengono conto dei bisogni, quelli che derivano da “tagli” sono un’altra, perché tengono conto solo del conto economico. Sono solo spunti, i miei, per ragionare insieme. Buon lavoro e buon impegno!

  10. Alessandro Milo scrive:
    Scritto il 19-10-2010 alle ore 12:22

    Ciao ragazzi, sono pienamente d’accordo con l’analisi, che trovo molto intelligente e conferente, di Gloria . Infatti, ritengo che la problematica relativa alla malasanità vada affrontata in maniera sinottica e globale, ma credo, altresì, che il primo passo da fare sia quello di sensibilizzare le coscienze delle persone anche prima che un evento traumatico avvenga e questo è possibile sono mettendole in rete, aprire dei forum, dei dibattiti, in modo tale da analizzare i problemi legati alla sanità e contestualmente individuarne le cause e formulare delle possibili soluzioni, affichè il tema diventi di stretta attualità non solo e necessariamente in seguito ad un evento triste. Ciao. Ale

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